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Rompere quel matrimonio tra proteine che dà linfa alla leucemia

Papà chimico, una vita passata a fare ricerca all’università; mamma medico nel campo della medicina trasfusionale. Con due genitori così è facile capire perché mi sia avvicinato alla medicina e alla ricerca. Poi alcuni incontri fortunati durante l’università mi hanno fatto innamorare dell’ematologia, una disciplina incredibilmente stimolante.

Mi sono dunque ritrovato a fare il ricercatore, una vocazione che si è subito indirizzata verso l’ematologia oncologica, un campo che permette di assecondare il desiderio di esplorare, tipico della natura umana, con la possibilità di aiutare i pazienti con malattie ancora oggi difficili da curare.

Mi occupo di leucemia mieloide acuta, un tumore del sangue da cui sempre più spesso si guarisce completamente. Alcuni pazienti, tuttavia, soffrono di forme particolari che possono essere difficili da trattare. Una di queste, caratterizzata dalla mutazione del gene NPM1, è la forma di leucemia che studio nel mio progetto di ricerca sostenuto da Fondazione AIRC tramite un grant Start-Up. Grazie al grant ho potuto creare un piccolo gruppo di ricerca all’Università di Perugia, dopo un’esperienza all’estero, nel laboratorio di Peggy Goodell al Baylor College of Medicine di Houston in Texas. Qui ho acquisito competenze tecniche nel campo della biologia molecolare e in particolare ho perfezionato un protocollo di editing del DNA in cellule del sangue. Inoltre ho acquisito esperienza nella scrittura di grant.

In precedenti ricerche abbiamo identificato un possibile punto debole della leucemia mieloide acuta con mutazione del gene NPM1, cioè il fatto che la sopravvivenza delle cellule tumorali è legata all’interazione tra due proteine: quella espressa dal gene mutato NPM1 e una proteina denominata XPO1 o esportina. Il nome deriva dal fatto che il compito di questa proteina è trasportare proteine fuori del nucleo della cellula. Con il progetto in corso puntiamo a descrivere nel dettaglio questa interazione tra le due proteine e i meccanismi che rendono le cellule tumorali dipendenti da essa. Ciò potrebbe portarci all’identificazione di nuovi possibili bersagli terapeutici.

Inoltre contiamo di dimostrare che impedendo l’interazione tra queste due proteine si possono ottenere benefici terapeutici, rallentando il decorso della malattia. Esistono molecole già in commercio o in avanzata fase di sviluppo clinico, capaci di inibire la proteina XPO1. Con esperimenti di laboratorio metteremo alla prova la nostra ipotesi. Se i risultati saranno positivi, inizieremo una sperimentazione clinica per verificare l’efficacia e la sicurezza del trattamento in un piccolo gruppo di pazienti che si è già sottoposto ad altri trattamenti senza successo.

La ricerca è il mio impegno principale, ma due mattine a settimana continuo a dedicarle all’attività clinica, lavorando in un ambulatorio dell’Ospedale di Perugia, dedicato ai pazienti con leucemia. È un’attività che considero fondamentale: mi permette infatti di non perdere mai di vista quel che succede nel mondo della clinica, consentendomi di restare aggiornato sui nuovi trattamenti disponibili. Soprattutto mi dà la possibilità di mantenere il contatto con i pazienti, conoscere i loro bisogni e capire in quali ambiti è più urgente focalizzare la ricerca.

Biografia

Nato a Perugia nel 1983, si è laureato in Medicina e Chirurgia all’Università degli Studi di Napoli “Federico II”. Dopo la laurea si è trasferito all’Università degli Studi di Perugia, dove ha ottenuto la specializzazione in Ematologia e successivamente un dottorato di ricerca in Medicina Molecolare, svolto in parte negli Stati Uniti, al Baylor College of Medicine di Houston, dove è rimasto per più di tre anni. Tornato in Italia, oggi guida un gruppo di ricerca all’Università degli Studi di Perugia, grazie al sostegno di Fondazione AIRC tramite un grant Start-Up. Inoltre svolge attività clinica presso l’Azienda Ospedaliera della città umbra.

Data di pubblicazione: 22 novembre 2021