Da piccola a casa avevo spesso la rivista AIRC, “Fondamentale”, perché i miei genitori facevano delle piccole donazioni. Mia madre più di una volta mi chiese “Non ti piacerebbe diventare come loro?”, indicandomi qualche storia di ricercatori che avevano scoperto nuove possibilità di cure e viaggiavano tra centri di ricerca in giro per il mondo. Le materie scientifiche mi sono sempre piaciute e, in effetti, quegli studi e quelle vite mi affascinavano molto. Alla fine delle scuole superiori sapevo già che avrei voluto fare ricerca per aiutare i malati e anche perché capire il funzionamento dei meccanismi biologici mi incuriosiva. Per questo ho scelto un percorso universitario che mi avrebbe dato le basi giuste per fare ricerca in campo biomedico.
Dopo la laurea in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche e un dottorato tra Perugia e Milano sono partita alla volta della Stanford University, in California, grazie a una borsa di studio FIRC.
Ero partita nel 2010. Nell’anno precedente avevo contattato un laboratorio che studiava fattori che regolano l’espressione genica e la stabilità del genoma, fondamentale per prevenire cancro e invecchiamento. La coordinatrice del laboratorio si era dimostrata subito disponibile e così abbiamo scritto il progetto insieme. Solo successivamente ho scoperto che, mentre scrivevamo il progetto, lei era nella camera bianca perché aveva subito un trapianto di midollo osseo per una leucemia da cui oggi è completamente guarita.
La California per chi fa ricerca è un posto da sogno. Ci sono rimasta otto anni e mezzo, durante i quali ho anche conosciuto mio marito ed è nato il nostro primo figlio, Giovanni. La sua nascita ci ha fatto desiderare di tornare vicino alle nostre famiglie, così che Giovanni potesse avere nella sua vita una famiglia allargata con nonni, zii e cugini. Siamo perciò tornati in Italia e all'inizio del 2019 ho iniziato il mio lavoro di ricerca nella sezione di Ematologia dell’Università di Perugia. Pochi mesi dopo il nostro rientro è nata nostra figlia Nathalie, e dopo un periodo di maternità in cui mi sono dedicata a pieno alla mia famiglia, ho ripreso con entusiasmo il mio lavoro di ricerca, anche grazie al sostegno di una borsa di studio iCARE-2 cofinanziata da AIRC e dall’Unione europea.
Oggi il mio progetto, che si concentra sul linfoma di Hodgkin, si sviluppa su due filoni: il primo è dedicato allo studio di una mutazione in un gene chiamato STAT6. È stata identificata nel laboratorio in cui lavoro ed è molto frequente nei pazienti con linfoma di Hodgkin: il nostro obiettivo è capire come questa mutazione contribuisca alla malattia.
L’altro filone si concentra invece su quella parte del genoma che non codifica per proteine: si tratta di estese porzioni di DNA ancora in larga parte poco conosciute, ma che possono avere importanti funzioni regolatrici. Cercheremo qui eventuali mutazioni ricorrenti, sperando di trovarne alcune in regioni (chiamate “enhancers”) che, regolando a distanza altri geni, possano svolgere un ruolo nello sviluppo della malattia. Si tratta di un campo inesplorato che potrebbe portarci non solo a comprendere meglio la biologia di questo linfoma, ma anche a identificare nuovi bersagli di terapie capaci di ripristinare una normale regolazione genica.
Nata a Foligno nel 1980, si è laureata in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche all’Università degli Studi di Perugia conseguendo nello stesso ateneo, in collaborazione con l’Istituto Europeo di Oncologia di Milano, un dottorato in Biologia e Biotecnologie Molecolari. Nel 2010, grazie a una borsa FIRC, ha intrapreso un percorso di ricerca all'estero presso la Stanford University, in California. Dal 2019 è di nuovo in Italia, presso l’Università di Perugia, impegnata in un progetto di ricerca sostenuto da una borsa triennale i-CARE-2 cofinanziata da Fondazione AIRC e Commissione Europea.
Data di pubblicazione: 5 agosto 2021