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Come creare ospedali amichevoli e accoglienti

Il luogo in cui si svolgono le terapie può influenzare l'esito delle cure contribuendo a migliorare le condizioni del paziente.

Qualcuno in Inghilterra è arrivato a parlare di "effetto placebo architettonico", ovvero di una vera e propria capacità dei luoghi di cura di contribuire alla guarigione. Anche coloro che per formazione culturale non amano mettere sullo stesso piano concettuale mattoni e farmaci, vetrate e bisturi, vernici e radioterapie sono però sempre più convinti che qualsiasi sforzo terapeutico può ottenere risultati migliori se gli spazi dell'assistenza sono organizzati e luminosi, colorati e accoglienti, e se il ricovero non impone la rinuncia alla vita sociale. Questo sembra ancor più vero quando il nemico è aggressivo e temibile, e la battaglia è tormentata e lunga, come spesso accade con il cancro.

Tutto ruota attorno alla persona

L'umanizzazione dei luoghi di cura è diventata priorità in Italia con l'inizio del nuovo millennio, quando è stata indicata come necessaria da una commissione di studio del ministero della Salute incaricata di stilare l'identikit dell'ospedale del futuro, che l'allora ministro Umberto Veronesi affidò al grande architetto Renzo Piano. Se la regola seguita in passato per costruire un luogo di cura era partire dalle esigenze tecniche dettate da medici, infermieri, dirigenti, amministratori e politici, quella odierna capovolge tutto, obbligando a vedere le cose con gli occhi del malato, nuova pietra angolare della progettazione.

Primo strumento fondamentale per ottenere questo rovesciamento di prospettiva è la penna del progettista che, studiando il rapporto tra gli spazi e tra gli individui - pazienti e curanti - dispone di armi come la luce, i volumi, i materiali e soprattutto i colori per cancellare il senso di estraneità in genere associato al classico ospedale "chiuso", fatto di strutture e colori anonimi e opprimenti.

Umanità e calore dal colore

Proprio un uso attento del colore caratterizza per esempio il nuovo Blocco Sud dell'Ospedale milanese di Niguarda con i servizi destinati all'alta intensità di cura, tra cui l'oncologia: la scelta di tonalità chiare e rilassanti secondo il progetto cromatico del designer Jorrit Tornquist del Politecnico di Milano vuole facilitare l'orientamento ed evitare il senso di estraneità: "Un ospedale deve essere un luogo dove i pazienti e il personale che vi lavora si sentano a proprio agio. Il colore e la luce distraggono il paziente dal dolore" spiega Tornquist. Su queste premesse, per le camere di degenza sono stati scelti toni rilassanti come il verde e l'arancio, perché la guarigione dipende anche, almeno in parte, dalla disposizione di spirito.

Per le pareti del blocco operatorio e in generale per tutte le sale operatorie è stato scelto un colore verde-turchese, mentre le pareti degli spogliatoi per i pazienti sono in arancio chiaro, un colore vicino a quello della carnagione, che previene senso di disagio e estraneità. Ma il colore è solo uno degli aspetti da considerare: già dall'accesso - si passa attraverso una lunga galleria in acciaio e vetro trasparente e luminosa, destinata a varie attività commerciali - appare con chiarezza il nuovo rapporto tra l'ospedale e il resto della città, per cui la vita normale, con le sue abitudini, non resta fuori ma accompagna il malato e quando è possibile ne scandisce anche le giornate da ricoverato.

L'integrazione con il territorio e la città, come pure la salvaguardia della dimensione sociale, sono altri obiettivi fondamentali, che i progettisti hanno perseguito seguendo strade diverse: l'ospedale di Mestre, per esempio, accoglie chi entra in un atrio meraviglioso, un'enorme serra con piante rigogliosissime, zone d'attesa, negozi, chioschetti e bar, mentre il progetto dell'Ospedale pediatrico Meyer di Firenze ha tenuto conto degli edifici esistenti e dei dislivelli della collina per realizzare un ottimo esempio di integrazione con il paesaggio e la natura circostante.

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Grandi architetti in Scozia

Che questo capovolgimento della prospettiva faccia bene ai malati, e ai professionisti che a tutti i livelli si prendono cura di loro, è fuori discussione. Però non è facile dire fino a che punto questo accresce concretamente le prospettive di guarigione. Un'esperienza avviata in Gran Bretagna per umanizzare i centri che offrono assistenza psicosociale ai malati di cancro ha portato alla costruzione di diversi piccoli gioiellini del design. I centri sono opera di un'associazione dedicata alla memoria dell'architetto Maggie Keswick Jencks, che cominciò a pensare alla questione durante la propria chemioterapia. Dopo la sua morte, alcuni amici progettisti - tra cui alcune star dell'architettura contemporanea, come Frank Gehry, Richard Rogers, Zaha Hadid e Rem Koolhas - si sono proposti per realizzare ambienti caldi e accoglienti, costruiti tipicamente attorno a un grande tavolo di cucina dove ciascuno può prepararsi un tè coi biscotti. Il prossimo passo sarà l'elaborazione di uno studio clinico rigoroso, per valutare se nei malati che frequentano uno di questi centri le cure sono più efficaci, come sostengono i promotori dell'iniziativa. Sarebbe la dimostrazione del fatto che l'effetto placebo dell'architettura è una realtà.

Si può fare con pochi soldi

Lumanizzazione e la cura degli ambienti non richiedono grandi investimenti, e moltissimo si può fare anche nel pubblico. È questa la convinzione che guida il lavoro dell'architetto Eva Bellini. Dopo un lungo periodo di lavoro a Parigi, dove ha collaborato alla ristrutturazione di grandi ospedali, Eva Bellini oggi ricopre il ruolo di responsabile dell'ufficio che si occupa dell'umanizzazione dell'Ospedale San Paolo di Milano, un grande ospedale generalista con circa 600 letti.

Quanto è cambiata la progettazione degli ospedali negli ultimi anni?
Molte nuove realizzazioni - solo in Lombardia nel 2010 verranno inaugurati cinque ospedali pubblici - hanno seguito le indicazioni del progetto di Veronesi e Piano, che nel 2001 hanno raccolto in un compendio organico e coerente le migliori cose che erano state accennate o realizzate nel mondo.

Renzo Piano l'ha definito un "libretto di istruzioni".
È un insieme delle cosiddette buone pratiche, indicazioni che mettono al centro il paziente e le sue esigenze e realizzano nell'ospedale percorsi che risultino chiari ed efficienti. Da un lato si tratta di interrompere quei gironi danteschi in cui il paziente gira come un'anima in pena nei meandri dell'ospedale, e dall'altro di ottimizzare gli interventi del personale e l'uso degli spazi e delle attrezzature (anche e soprattutto grazie a sistemi informatici efficienti). Certo, alle volte persino quelle indicazioni generali rischiano di venire applicate in modo poco creativo.

In che senso?
Per applicare davvero queste raccomandazioni, e ottenere i migliori risultati in termine di umanizzazione dell'ospedale, occorre studiare la soluzione più adatta a ciascuna realtà locale, e magari anche sperimentare un po'. L'umanizzazione dovrebbe essere a 360 gradi, non solo sugli spazi ma anche sull'organizzazione del funzionamento quotidiano.

Questo è particolarmente difficile quando si vuole rendere più accogliente una struttura già esistente.
Certo è molto più semplice costruire un nuovo ospedale che adattare edifici vecchi in cui si continua a svolgere attività clinica. Nel nostro ospedale, oltre al grande progetto del nuovo pronto soccorso al quale lavoriamo da alcuni anni, abbiamo in media 4-5 ristrutturazioni parziali l'anno. Cambiamenti sostanziali sul piano architettonico sono impensabili, perché un intervento al terzo piano deve tenere conto di tutti gli elementi e gli impianti che collegano il secondo al quarto, e così via, ma lentamente l'ospedale sta cambiando faccia, anche se a pelle di leopardo, a partire dall'intervento più semplice, sui colori, che però deve comprendere non solo i muri ma anche pavimenti e arredi.

Un tour virtuale per ospedali

È difficile parlare di architettura: è molto più semplice vedere con i propri occhi in che direzione sta andando la progettazione dei nuovi ospedali.

Hospital Centre in Paris, Eiffage, Groupe 6
Gli studi di architettura utilizzano le più moderne tecniche di animazione per mostrare ai committenti e ai futuri utenti le caratteristiche degli ospedali che progettano. In questo video è possibile vedere in anteprima il modernissimo centro ospedaliero di Eiffage, a Parigi, che ospita anche il blocco oncologico.

Virtual Tour of the Future of Medicine
Negli Stati Uniti, l'Università del Kentucky ha progettato un nuovo ospedale che dovrebbe fornire l'ambiente più adatto sia per i pazienti, sia per gli studenti e i ricercatori. La sua caratteristica principale è una presenza massiccia e costante di opere d'arte e di design. Sono previsti anche concerti nella hall di accoglienza. Nel video una paziente spiega quanto l'ambiente è stato importante per il suo recupero.

Cisco Hospital of the Future - Palomar West
C'è anche chi non si accontenta dell'ospedale reale, ma vuole offrirne anche uno virtuale. È il caso del Palomar West, un ospedale statunitense che ha costruito un suo analogo virtuale su Second Life, il mondo internet tridimensionale in cui si muovono gli avatar delle persone reali. Nel Palomar West virtuale è possibile vedere in anteprima le sale operatorie, le stanze e le mense, ma anche sottoporsi a diversi esami clinici, per provare "in anteprima" l'effetto che fa.

Arras Hospital
Attenzione all'estetica e alla funzionalità ma anche all'ambiente. Sono sempre più numerosi gli ospedali di recente costruzione che si dotano di sistemi di energia rinnovabile o che mantengono la temperatura interna mediante sistemi di giardini pensili e molto verde. In questa pagina un esempio recente, costruito ad Arras, in Francia, con materiali biocompatibili e sistemi di produzione energetica pulita.

Data di pubblicazione: 1 ottobre 2010