DONA

Melanoma, il tumore che ha aperto la strada all’immunoterapia

Fino a poco più di dieci anni fa era uno dei tumori più difficili da curare. Oggi siamo ancora lontani dal guarire tutti i pazienti ma, grazie all’impegno e ai risultati della ricerca, anche i malati con forme avanzate
riescono ad avere una più che discreta aspettativa di vita.

"Il melanoma è l’ambito di ricerca in cui hanno trovato realizzazione tutti gli studi e i sogni di chi ha creduto nell’immunoterapia dei tumori.” Licia Rivoltini dirige l’Unità di immunologia traslazionale all’Istituto nazionale dei tumori di Milano e così sintetizza la rivoluzione che ha investito il melanoma negli ultimi dieci anni. Una rivoluzione che ha trasformato questo tumore da malattia che, nelle fasi avanzate, aveva pochissime – se non nessuna – chance di trattamento, in neoplasia che può essere gestita con buone probabilità di successo.

Un solo organo, diversi tumori

La pelle è l’organo più esteso del nostro corpo ed è formata da tre strati: in superficie c’è l’epidermide, immediatamente sotto si trova il derma e, in profondità, il tessuto sottocutaneo. Quando si parla di tumori della pelle ci si riferisce alle neoplasie che hanno origine dall’epidermide e dalle cellule che la compongono. Le più comuni sono i cheratinociti: quelli presenti nello strato più esterno sono chiamati cellule squamose e a partire da loro si sviluppa il carcinoma spinocellulare. I cheratinociti dello strato più profondo sono, invece, detti cellule basali e possono dare origine ai carcinomi basocellulari. I carcinomi basocellulari e quelli spinocellulari, insieme, rappresentano circa il 90 per cento di tutti i tumori cutanei. Sono tumori che tendono a evolvere lentamente, raramente danno luogo a metastasi e in genere vengono rimossi chirurgicamente quando sono ancora localizzati. Diversa è invece la situazione nel melanoma cutaneo. Il melanoma si sviluppa dai melanociti, le cellule dell’epidermide capaci di produrre melanina, il pigmento che offre protezione dagli effetti dannosi dei raggi solari. I melanociti sono presenti anche nell’occhio e nelle mucose, e possono dare origine ad altre forme di melanoma, molto più rare però di quella che colpisce la cute. 

Primo passo: prevenzione

Il melanoma è una neoplasia molto aggressiva, la cui incidenza è da anni in crescita, al punto che è diventata il terzo tumore più frequente nei pazienti con meno di 50 anni. Secondo il rapporto annuale I numeri del cancro in Italia, per il 2022 si stimano circa 12.700 nuove diagnosi di melanoma cutaneo. Sono, invece, quasi170.000 le persone che vivono in Italia dopo una diagnosi di melanoma. Questo aumento, spiega Rivoltini, “è legato in parte a fattori ambientali, per esempio alla minore protezione dai raggi solari offerta dall’atmosfera, e in parte al fatto che sono cambiate le nostre abitudini di esposizione al sole”. Il principale fattore di rischio per il melanoma cutaneo è infatti l’esposizione eccessiva e scorretta alla luce ultravioletta, che può danneggiare il DNA delle cellule e causarne la trasformazione in cellule tumorali. A rischiare di più sono le persone che hanno la pelle, i capelli e gli occhi chiari: se apparteniamo a questo fototipo, la nostra pelle ha poca capacità di proteggerci attraverso la produzione di melanina. Avere anche molti nei è un indice di rischio, così come la familiarità. È stato inoltre dimostrato che essersi scottati in età infantile o in adolescenza aumenta le probabilità di sviluppare melanoma. “È fondamentale esporsi correttamente al sole, evitando di farlo in maniera eccessiva o nelle ore centrali del giorno. Meglio piuttosto un’esposizione graduale, usando filtri solari adeguati. Queste indicazioni sono valide per tutti, ma ancor più per le persone con fototipo chiaro” precisa Rivoltini. “Molto importante per chi è predisposto è sottoporsi a un controllo routinario ogni anno. Per tutti gli altri, è consigliata una mappatura dei nevi almeno una volta nella vita, in modo da intervenire precocemente se necessario.”

Chirurgia, e poi?

Se diagnosticato in fase iniziale, il melanoma è quasi sempre curabile. “Spesso infatti basta un semplice intervento chirurgico per rimuovere il tumore e guarire” spiega Rivoltini. 
Per i casi in cui la malattia viene diagnosticata in fase metastatica, invece, fino a pochi anni fa non c’erano molte possibilità di trattamento. Il melanoma, infatti, risponde poco alla chemioterapia e non è controllabile con la radioterapia. Qualche malato traeva piccoli benefici dall’uso dell’interferone, un farmaco immunomodulante. “La gran parte dei pazienti con melanoma metastatico, però, moriva in pochi mesi” precisa Rivoltini. Le cose sono cambiate radicalmente da una decina d’anni: oggi anche nelle fasi avanzate della malattia si ha la possibilità di controllare il melanoma per lunghi periodi di tempo e, in alcuni casi, guarire. “La storia di questo successo” racconta Rivoltini “affonda le radici in quasi mezzo secolo di ricerca. Fin dagli anni Sessanta del secolo scorso alcuni studiosi, come il mio mentore Giorgio Parmiani, lavoravano al rapporto tra immunità e cancro. Spesso completamente inascoltati dalla comunità clinica e scientifica.”
Già a quei tempi si era capita una cosa: che il melanoma è un tumore immunogenico, cioè capace di stimolare il nostro sistema immunitario. Anzi, a lungo si è pensato che fosse l’unico tumore in grado di esercitare questa azione e si è cercato di sfruttare tale peculiarità per mettere a punto nuove strategie terapeutiche. “Nel tempo ci si è accorti che questa caratteristica è tipica di diverse neoplasie indotte da cancerogeni, come i tumori del polmone causati dal fumo, quelli del rene e alcuni tipi di neoplasie del colon” spiega Rivoltini. Inoltre, si è compreso che il cancro ha la capacità di spegnere la risposta del sistema immunitario, attivando i suoi freni fisiologici. Sono stati così messi a punto appositi farmaci in grado di sottrarre al tumore il controllo di questi freni. Si tratta dei cosiddetti inibitori dei checkpoint immunitari, che oggi rappresentano una delle strategie terapeutiche per il melanoma. 

Una nuova Era

Grazie all’avvento di questi nuovi farmaci, le possibilità di controllo della malattia sono completamente cambiate. All’inizio, gli inibitori dei checkpoint immunitari sono stati impiegati nei casi di malattia avanzata e si stima che circa la metà dei pazienti in fase metastatica ne tragga vantaggi a lungo termine. “Nel tempo si è
capito che questo approccio si può utilizzare anche in fasi più iniziali della malattia” illustra Rivoltini. “Il melanoma ha infatti una forte tendenza a dare recidiva. In casi selezionati, dopo l’intervento chirurgico si può dunque usare l’immunoterapia, nel cosiddetto setting adiuvante, per prevenire questa eventualità.”
Recentemente si è scoperto che circa la metà dei casi è legata a una mutazione del gene BRAF. Farmaci indirizzati contro questa mutazione hanno dimostrato una grande efficacia contro la malattia.

Il futuro

La ricerca è attivamente impegnata per migliorare i risultati ottenuti fino a oggi. “Sul fronte degli inibitori dei checkpoint immunitari, si stanno cercando nuove molecole da indirizzare contro altri recettori per liberare ulteriori freni del sistema immunitario. C’è anche chi sta lavorando alla identificazione di molecole che lo attivino.” Si stanno poi riscoprendo filoni di ricerca esplorati qualche decennio fa ma accantonati perché all’epoca troppo complessi. “Uno di questi filoni è rappresentato dai cosiddetti vaccini terapeutici contro il cancro – da somministrare quindi come cura e non a scopo preventivo. I vaccini erano stati la prima strategia a cui si era pensato al fine di stimolare il sistema immunitario per aggredire il melanoma.” Sono state esplorate diverse strade via via più complesse, che si sono però sempre scontrate contro almeno due ostacoli: l’impossibilità di produrre vaccini in grado di riconoscere efficacemente le cellule tumorali specifiche del paziente e la capacità del tumore di sopprimere la risposta immunitaria.

“Oggi i tempi sono maturi. Abbiamo i mezzi tecnici per produrre antigeni altamente personalizzati e la pandemia ha accelerato la messa a punto dei vaccini a RNA. Inoltre, disponiamo degli inibitori dei checkpoint immunitari che possono liberare il sistema immunitario dai freni imposti dal tumore” spiega Rivoltini. Questo approccio potrebbe concretizzarsi in una strategia in due fasi: si somministra prima un vaccino personalizzato che insegni al sistema immunitario a combattere il tumore e poi un’immunoterapia per mantenere attiva questa risposta. Una metodologia di questo tipo è stata presentata nei giorni scorsi al congresso dell’American Association for Cancer Research e ha mostrato buoni risultati. “Si tratta certo di una straa promettente, ma i problemi da risolvere sono ancora molto numerosi e non riguardano solo la ricerca. Queste nuove strategie, infatti, sono decisamente costose e impegnative dal punto di vista logistico” precisa Rivoltini. La strada però sembra quella giusta. “I primi pazienti con melanoma che vidi erano per lo più giovani e quasi sempre senza nessuna possibilità di salvezza. Oggi non abbiamo ancora debellato questa malattia, ma le cose sono molto cambiate. Lavorando sulla prevenzione, e affinando ulteriormente le terapie, credo che si possa essere ottimisti” conclude Licia Rivoltini.

Data di pubblicazione: 19 giugno 2025